giovedì 23 luglio 2015

Mamma mia che caldo!

L’afa di questi giorni è opprimente, ma altrettanto intollerabile è lo spettacolo dei lamenti che attorno a questo fenomeno si indirizzano. Non si parla d’altro. Nelle comunicazioni telefoniche, nei bar, nelle chiacchierate tra familiari o tra amici. “Come state, come sta mio nipote? E tua moglie si è ripresa dall’affaticamento dovuto al caldo?” chiede preoccupata la mamma al giovane figlio che lavora lontano da casa. I telegiornali, nei titoli di apertura, annunciano l’aumento di ricoveri di anziani nelle strutture ospedaliere; raccomandano, inoltre, di evitare di uscire di casa nelle ore più calde e, udite udite, suggeriscono di bere molta acqua. Climatizzatori e pinguini sono spariti in seguito al saccheggio effettuato da folle di acquirenti boccheggianti; per chi volesse, ma deve sbrigarsi, è rimasto ancora qualche malinconico ventilatore a pala che, non sarà il massimo, ma regala una vaga sensazione di conforto. E’ vero, la temperatura segna qualche grado in più rispetto alle medie stagionali, eppure non esiste niente di più naturale del caldo nel mesi di luglio ed agosto. C’è gente che non fa che ripetere di soffrire l’inclemenza delle alte temperature; alcuni addirittura sostengono che se continua di questo passo finiscono per tirare le cuoia. A me sembra tutto un po’ paradossale. Sarà perché possiedo una struttura genetica che mi consente di affrontare abbastanza naturalmente l’arsura della giornata. Il caldo mi piace, oserei dire. Mi è capitato di star male a causa dell’afa estiva in un’occasione straordinaria. Una decina di anni a questa parte, ho dovuto rifare la copertura della casa di campagna. Gli addetti al completamento dell’opera erano un bravissimo muratore e due operai poco professionalizzati che dovevano aiutarlo nelle mansioni manuali più pratiche. Preparare il cemento senza sbagliare la consistenza e le quantità di sabbia e di acqua e recapitargli le tegole; di tanto in tanto occorreva accorciare, con il flessibile, i coppi con la precisione chirurgica con la quale erano state segnate con la matita dal direttore dei lavori. Le conseguenze di qualche eventuale errore erano severe rampogne da parte sua. Dimenticavo un piccolo particolare: i due operai, di cui sopra, eravamo io e mio figlio sul quale ricadevano le incombenze più gravose dei lavori. La prima parte della mattinata, si iniziava alle sette del mattino, era trascorsa abbastanza velocemente. Ricordo, però, che le attività si protrassero fino all’una e mezzo per poter concludere uno spiovente del tetto. Tutto sembrava procedere per il meglio fino a quando, a fine mattinata, registrai un abbassamento di pressione, un senso di abbandono e di spossatezza: insomma stavo per perdere conoscenza e dovetti rifugiarmi all’interno dell’abitazione.
La generazione antecedente alla nostra conviveva amabilmente con lo svolgimento delle stagioni. Le abitazioni possedevano meno accorgimenti per affrontare le escursioni climatiche , l’abbigliamento era meno avveniristico del nostro, non possedevano strumenti di climatizzazione e neppure frigoriferi o congelatori; eppure, pur lamentando l’inclemenza delle stagioni, le vivevano con il fatalismo proprio della saggezza del tempo. La generazione che ci ha preceduto non disdegnava di lavorare anche nelle ore più calde del giorno. Mio padre, ad esempio, era solito iniziare le attività pomeridiane dopo un brevissimo riposino pomeridiano, utilizzando poche accorgimenti: un copricapo, costituito da un fazzoletto annodato, che di tanto in tanto poteva essere imbevuto d’acqua, oppure una sorta di berretto a forma di panama, ma a tese più larghe. Il torso nudo era la prassi: “Devo fare la cura del caldo per l’inverno” diceva. Il risultato era una particolare abbronzatura che s’infittiva nella schiena e si riduceva nel petto. Penso che lo stratagemma funzionasse, perché si è ammalato raramente e non ha mai subito visite fiscali per abbandono del posto di lavoro! Oggi usciamo dalle nostre abitazioni climatizzate, utilizziamo mezzi di spostamento climatizzati per recarci in ambienti di lavoro nei quali rischiamo una bronchite per eccesso di basse temperature. Appena affrontiamo la dura realtà della canicola, risentiamo bruscamente del differenziale termico e avvertiamo un senso di affaticamento e di spossatezza che ci fa crollare.
Con il progredire dell’estate, il caldo si attenuerà e inizieranno le lamentele per il freddo pungente ed opprimente. La ciclicità delle stagioni comporterà, necessariamente, la ripetitività delle lagnanze che sono insite nella natura umana.

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