L’afa di questi giorni è opprimente, ma altrettanto
intollerabile è lo spettacolo dei lamenti che attorno a questo fenomeno si indirizzano.
Non si parla d’altro. Nelle comunicazioni telefoniche, nei bar, nelle chiacchierate
tra familiari o tra amici. “Come state, come sta mio nipote? E tua moglie si è
ripresa dall’affaticamento dovuto al caldo?” chiede preoccupata la mamma al
giovane figlio che lavora lontano da casa. I telegiornali, nei titoli di
apertura, annunciano l’aumento di ricoveri di anziani nelle strutture
ospedaliere; raccomandano, inoltre, di evitare di uscire di casa nelle ore più
calde e, udite udite, suggeriscono di bere molta acqua. Climatizzatori e
pinguini sono spariti in seguito al saccheggio effettuato da folle di acquirenti
boccheggianti; per chi volesse, ma deve sbrigarsi, è rimasto ancora qualche malinconico
ventilatore a pala che, non sarà il massimo, ma regala una vaga sensazione di
conforto. E’ vero, la temperatura segna qualche grado in più rispetto alle
medie stagionali, eppure non esiste niente di più naturale del caldo nel mesi
di luglio ed agosto. C’è gente che non fa che ripetere di soffrire l’inclemenza
delle alte temperature; alcuni addirittura sostengono che se continua di questo
passo finiscono per tirare le cuoia. A me sembra tutto un po’ paradossale. Sarà
perché possiedo una struttura genetica che mi consente di affrontare abbastanza
naturalmente l’arsura della giornata. Il caldo mi piace, oserei dire. Mi è
capitato di star male a causa dell’afa estiva in un’occasione straordinaria.
Una decina di anni a questa parte, ho dovuto rifare la copertura della casa di
campagna. Gli addetti al completamento dell’opera erano un bravissimo muratore
e due operai poco professionalizzati che dovevano aiutarlo nelle mansioni
manuali più pratiche. Preparare il cemento senza sbagliare la consistenza e le quantità
di sabbia e di acqua e recapitargli le tegole; di tanto in tanto occorreva accorciare,
con il flessibile, i coppi con la precisione chirurgica con la quale erano
state segnate con la matita dal direttore dei lavori. Le conseguenze di qualche
eventuale errore erano severe rampogne da parte sua. Dimenticavo un piccolo
particolare: i due operai, di cui sopra, eravamo io e mio figlio sul quale
ricadevano le incombenze più gravose dei lavori. La prima parte della
mattinata, si iniziava alle sette del mattino, era trascorsa abbastanza velocemente.
Ricordo, però, che le attività si protrassero fino all’una e mezzo per poter concludere
uno spiovente del tetto. Tutto sembrava procedere per il meglio fino a quando,
a fine mattinata, registrai un abbassamento di pressione, un senso di abbandono
e di spossatezza: insomma stavo per perdere conoscenza e dovetti rifugiarmi all’interno
dell’abitazione.
La generazione antecedente alla nostra conviveva
amabilmente con lo svolgimento delle stagioni. Le abitazioni possedevano meno
accorgimenti per affrontare le escursioni climatiche , l’abbigliamento era meno
avveniristico del nostro, non possedevano strumenti di climatizzazione e
neppure frigoriferi o congelatori; eppure, pur lamentando l’inclemenza delle
stagioni, le vivevano con il fatalismo proprio della saggezza del tempo. La
generazione che ci ha preceduto non disdegnava di lavorare anche nelle ore più
calde del giorno. Mio padre, ad esempio, era solito iniziare le attività
pomeridiane dopo un brevissimo riposino pomeridiano, utilizzando poche accorgimenti:
un copricapo, costituito da un fazzoletto annodato, che di tanto in tanto
poteva essere imbevuto d’acqua, oppure una sorta di berretto a forma di panama,
ma a tese più larghe. Il torso nudo era la prassi: “Devo fare la cura del caldo
per l’inverno” diceva. Il risultato era una particolare abbronzatura che s’infittiva
nella schiena e si riduceva nel petto. Penso che lo stratagemma funzionasse, perché
si è ammalato raramente e non ha mai subito visite fiscali per abbandono del
posto di lavoro! Oggi usciamo dalle nostre abitazioni climatizzate, utilizziamo
mezzi di spostamento climatizzati per recarci in ambienti di lavoro nei quali
rischiamo una bronchite per eccesso di basse temperature. Appena affrontiamo la
dura realtà della canicola, risentiamo bruscamente del differenziale termico e avvertiamo
un senso di affaticamento e di spossatezza che ci fa crollare.
Con il progredire dell’estate, il caldo si attenuerà e
inizieranno le lamentele per il freddo pungente ed opprimente. La ciclicità
delle stagioni comporterà, necessariamente, la ripetitività delle lagnanze che
sono insite nella natura umana.
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