Marana ci regalava annualmente un
piccolo esemplare della sua specie; noi, a corto di fantasia e di inventiva, lo
ribattezzavamo naturalmente Marana. Credo che non si offendesse del fatto che
non si stabilisse almeno una distinzione ordinale con primo, secondo, terzo
come si usa con le successioni dinastiche dei reali. Non l’ho mai capito e, a
quel tempo, mi divertiva soprattutto disporre di quel mezzo di locomozione
tanto paziente. La nascita del piccolo successore al trono rappresentava sempre
un momento di gioia indicibile per noi bambini. All’improvviso, all’inizio
della giornata, si materializzava un puledro dalle stupende fattezze. Nel giro
di pochi giorni appariva armonico nelle forme, ben strutturato e difficilmente
avvicinabile da noi bambini. Marana ne era gelosissima e poteva reagire
duramente a quello che riteneva potesse essere un tentativo di sequestro del
suo capolavoro. Con il tempo la struttura fisica del successore al trono si
irrobustiva e, non era infrequente, assistere a straordinarie sgroppate del
piccolo puledro che esercitava i propri garretti e talvolta con repentini
voltafaccia eseguiva delle piroette che sapevano tanto di esibizionismo:
guardate quanto sono bravo sembrava dirci. Giungeva allora il tempo
dell’addomesticamento. L’operazione era molto delicata e andava eseguita con
calma e pacatezza. Occorreva, innanzitutto, dimostrare alla mamma che non si
avevano intenzioni ostili nei confronti del suo piccolo. Poi si procedeva con
il primo contatto con la corda al collo. Era necessario stabilizzare il nodo, onde
evitare che gli strappi violenti dettati dalla sorpresa di questo nuovo
strumento di coercizione potessero soffocare il piccolo. Si procedeva
successivamente con l’imbrigliamento del muso e la successiva applicazione
della sella corredata da due bisacce. Perché domanderete? Semplice le bisacce
venivano riempite di pesi costituiti da pietre che di giorno in giorno diventavano
più numerose e più onerose. L’asino è un animale che apprende in fretta gli
insegnamenti che gli vengono prospettati; nel nostro caso comprendeva che stava
entrando nella maturità e, pertanto, doveva irrobustire i muscoli per una
fattivo inserimento nel mondo del lavoro e delle fatiche quotidiane.
Un
proverbio sardo recita “Sa resessida de su puddherigu de s’ainu” che tradotto in
lingua “La riuscita del puledro dell’asino”: il detto, riferibile a tanti
rappresentanti della razza umana, rappresenta la grazia e l’armonia dei piccoli
puledri che con la crescita diventano goffi e grossolani. Anche questa leggenda
deve essere smitizzata: semplicemente il puledro con la crescita struttura
muscolatura e corporatura appropriandole alle responsabilità del suo nuovo
status. Dopo una quindicina di giorni di costanti escursioni in campagna con i
pesi, si procedeva alla fase più delicata: salire in groppa evitando di essere
disarcionati. Mio padre lo teneva per la cavezza, mentre io salivo trionfante
su un sorpreso piccolo Marana. La reazione in genere era controllata, salvo
improvvise alzate di testa che l’entusiasmo giovanile spesso suggerisce.
Un
giorno, impaziente per la tranquilla andatura del giovane quadrupede, affondai
un calcio sulla pancia del malcapitato per spronarlo a velocizzare la
camminata. L’avevo visto fare tante volte nei film western ed, in quel momento, mi
sembrava di interpretare il cowboy che corre in aiuto allo sceriffo contro una
masnada di banditi. Mal me ne incolse. Spazientito da quell’incomprensibile
punizione, Marana, strappando le briglie dalle mani di mio padre, si lanciò al
galoppo dirigendosi verso uno spiazzo sul quale affioravano spuntoni di rocce
granitiche. Mi disarcionò con un improvviso volteggio e si fermò poco distante
degnandomi di un’occhiata che esprimeva il concetto seguente: ”La prossima
volta comportati meglio o le conseguenze saranno più ancora più spiacevoli”. Ferito
nell’orgoglio, abbandonai ogni velleità di collaborare con lo sceriffo
nell’inseguimento dei malviventi; appresi, da quel momento a rispettare la
personalità e la suscettibilità del mio allievo. Marana apparteneva alla razza
definita appunto dell’asino sardo che, con l’avvento della meccanizzazione, si
è ridotta da quasi 40.000 capi a poche centinaia. Di origini probabilmente
africane è stato utilizzato nella storia per smuovere la pesante macina del
grano (da cui l’epiteto sardo molente) per trainare aratri e trasportare ogni
genere di pesi. Oggi noto una ripresa dell’allevamento degli esemplari di
questa specie preziosi per la produzione di un latte dalle qualità
straordinarie conosciute anche nella classicità e per l’onoterapia una
particolare cura riabilitativa che utilizza le caratteristiche di questo
quadrupede quali pazienza, calma, andatura monotona e rilassata per curare
particolari patologie.
Ritorneranno gli
asini a calcare le plaghe della nostra isola; difficilmente rivivremo un’epopea,
ormai mitizzata, durante la quale abbiamo appreso significative lezioni
improntate alla solidità, alla compostezza, all’energia e alla resistenza. E al
diavolo i luoghi comuni che intossicano la nostra quotidianità.
Nessun commento:
Posta un commento