venerdì 17 luglio 2015

La principessa del sogno. Seconda parte

Marana ci regalava annualmente un piccolo esemplare della sua specie; noi, a corto di fantasia e di inventiva, lo ribattezzavamo naturalmente Marana. Credo che non si offendesse del fatto che non si stabilisse almeno una distinzione ordinale con primo, secondo, terzo come si usa con le successioni dinastiche dei reali. Non l’ho mai capito e, a quel tempo, mi divertiva soprattutto disporre di quel mezzo di locomozione tanto paziente. La nascita del piccolo successore al trono rappresentava sempre un momento di gioia indicibile per noi bambini. All’improvviso, all’inizio della giornata, si materializzava un puledro dalle stupende fattezze. Nel giro di pochi giorni appariva armonico nelle forme, ben strutturato e difficilmente avvicinabile da noi bambini. Marana ne era gelosissima e poteva reagire duramente a quello che riteneva potesse essere un tentativo di sequestro del suo capolavoro. Con il tempo la struttura fisica del successore al trono si irrobustiva e, non era infrequente, assistere a straordinarie sgroppate del piccolo puledro che esercitava i propri garretti e talvolta con repentini voltafaccia eseguiva delle piroette che sapevano tanto di esibizionismo: guardate quanto sono bravo sembrava dirci. Giungeva allora il tempo dell’addomesticamento. L’operazione era molto delicata e andava eseguita con calma e pacatezza. Occorreva, innanzitutto, dimostrare alla mamma che non si avevano intenzioni ostili nei confronti del suo piccolo. Poi si procedeva con il primo contatto con la corda al collo. Era necessario stabilizzare il nodo, onde evitare che gli strappi violenti dettati dalla sorpresa di questo nuovo strumento di coercizione potessero soffocare il piccolo. Si procedeva successivamente con l’imbrigliamento del muso e la successiva applicazione della sella corredata da due bisacce. Perché domanderete? Semplice le bisacce venivano riempite di pesi costituiti da pietre che di giorno in giorno diventavano più numerose e più onerose. L’asino è un animale che apprende in fretta gli insegnamenti che gli vengono prospettati; nel nostro caso comprendeva che stava entrando nella maturità e, pertanto, doveva irrobustire i muscoli per una fattivo inserimento nel mondo del lavoro e delle fatiche quotidiane.
Un proverbio sardo recita “Sa resessida de su puddherigu de s’ainu” che tradotto in lingua “La riuscita del puledro dell’asino”: il detto, riferibile a tanti rappresentanti della razza umana, rappresenta la grazia e l’armonia dei piccoli puledri che con la crescita diventano goffi e grossolani. Anche questa leggenda deve essere smitizzata: semplicemente il puledro con la crescita struttura muscolatura e corporatura appropriandole alle responsabilità del suo nuovo status. Dopo una quindicina di giorni di costanti escursioni in campagna con i pesi, si procedeva alla fase più delicata: salire in groppa evitando di essere disarcionati. Mio padre lo teneva per la cavezza, mentre io salivo trionfante su un sorpreso piccolo Marana. La reazione in genere era controllata, salvo improvvise alzate di testa che l’entusiasmo giovanile spesso suggerisce.
Un giorno, impaziente per la tranquilla andatura del giovane quadrupede, affondai un calcio sulla pancia del malcapitato per spronarlo a velocizzare la camminata. L’avevo visto fare tante volte nei film western ed, in quel momento, mi sembrava di interpretare il cowboy che corre in aiuto allo sceriffo contro una masnada di banditi. Mal me ne incolse. Spazientito da quell’incomprensibile punizione, Marana, strappando le briglie dalle mani di mio padre, si lanciò al galoppo dirigendosi verso uno spiazzo sul quale affioravano spuntoni di rocce granitiche. Mi disarcionò con un improvviso volteggio e si fermò poco distante degnandomi di un’occhiata che esprimeva il concetto seguente: ”La prossima volta comportati meglio o le conseguenze saranno più ancora più spiacevoli”. Ferito nell’orgoglio, abbandonai ogni velleità di collaborare con lo sceriffo nell’inseguimento dei malviventi; appresi, da quel momento a rispettare la personalità e la suscettibilità del mio allievo. Marana apparteneva alla razza definita appunto dell’asino sardo che, con l’avvento della meccanizzazione, si è ridotta da quasi 40.000 capi a poche centinaia. Di origini probabilmente africane è stato utilizzato nella storia per smuovere la pesante macina del grano (da cui l’epiteto sardo molente) per trainare aratri e trasportare ogni genere di pesi. Oggi noto una ripresa dell’allevamento degli esemplari di questa specie preziosi per la produzione di un latte dalle qualità straordinarie conosciute anche nella classicità e per l’onoterapia una particolare cura riabilitativa che utilizza le caratteristiche di questo quadrupede quali pazienza, calma, andatura monotona e rilassata per curare particolari patologie.
Ritorneranno gli asini a calcare le plaghe della nostra isola; difficilmente rivivremo un’epopea, ormai mitizzata, durante la quale abbiamo appreso significative lezioni improntate alla solidità, alla compostezza, all’energia e alla resistenza. E al diavolo i luoghi comuni che intossicano la nostra quotidianità.     

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