E’ difficile abituarsi a
u una nuova modalità di approccio alla vita e alla convivenza civile. Dettata,
obbligata da immagini raccapriccianti. E’ vero che la morte ci ha sempre
accompagnato ed è il destino di ogni essere umano. Mai, però, avremmo potuto
immaginare i camion militari incolonnati e impegnati ad accompagnare le bare al
cimitero. L’altro giorno un amico mi ha telefonato per comunicarmi la morte di
suo padre. Mi ha raccomandato di non andare a trovarlo per le ferree
disposizioni in atto. Non immaginavo, però, che i familiari più stretti fossero
esclusi anche dalle tristi operazioni della tumulazione. Questa pratica avrebbe
suscitato la disapprovazione anche del mondo greco e di quello romano. Gli onori dovuti ai morti costituivano,
infatti, un dovere imprescindibile di pietà religiosa. I lutti si elaborano
meno amaramente attraverso forme più partecipi di distacco. Qualche
avvisaglia però c’era stata. Una decina di giorni a questa parte in prossimità
della farmacia ho incontrato una cara conoscente. Eravamo abituati, in queste
circostante, a scambiarci impressioni, sensazioni, informazioni. Il chiacchiericcio
proprio delle persone accomunate da visioni, opinioni e sensibilità. Il nostro
dialogo, per sua volontà è stato molto conciso e stringato. Limitato ai
convenevoli tipici dei saluti. Piccolo particolare: ho notato che si manteneva
a distanza di sicurezza. Un colloquio breve, ma surreale. Il focolaio in quel
periodo era limitato al solo settentrione. La Sardegna appariva un’oasi felice.
Mentre mi allontanavo ho compreso che la mia interlocutrice aveva già attivato
le precauzioni proprie della paura del contagio. Che oggi dobbiamo fare nostre.
Dotandoci degli strumenti di protezione individuale prima di tutto. Dobbiamo,
in secondo luogo, rimanere segregati a casa. Solo così possiamo scongiurare
l’escalation dei decessi. Ieri abbiamo totalizzato oltre 470 morti. Un record che
neanche la Cina, culla della diffusione del virus, ha raggiunto. Evidentemente
non abbiamo adottato le misure consigliate. Siamo refrattari per tradizione al
rispetto delle regole e pecchiamo di leggerezza e di superficialità. Anche
quando ci imbattiamo nei baratri delle tragedie. Crediamo o speriamo che noi
possiamo uscirne indenni. “A chi la tocca la tocca” risponde nei Promessi Sposi
un inebetito Tonio a Renzo che si avvicina per sincerarsi come sta. Oggi crediamo
e confidiamo che tocchi sempre agli altri. Ma gli altri, soprattutto oggi, siamo
tutti noi e possiamo venir fuori da questo abisso solo con il concorso di
tutti. Una guerra si ripete nei notiziari. I conflitti, però, si vincono con il
contributo dagli eserciti. Composti soprattutto dai soldati semplici; che, per
conseguire la vittoria, devono stare in trincea. Fuor di metafora, appartati
nelle proprie abitazioni. Felici di uscire quando questa immane tragedia sarà
finita. In attesa stiamo a casa. Abbiamo sorpreso il mondo facendo leva sulle
nostre capacità di lottare e di soffrire. Di vincere quando tutti ci davano per
sconfitti. Siamo rinati più forti di prima quando abbiamo fatto squadra. Nello
sport, nella vita, nell’arte, nell’economia, nella cultura e nella moda. Il mondo
ha bisogno di noi. Della nostra fantasia. Della nostra creatività. Crediamoci,
credetemi, restiamo a casa
giovedì 19 marzo 2020
martedì 17 marzo 2020
Restiamo a casa
Una
sensazione strana. Caratterizzata da uno stato d’ansia che non conoscevo da tempo.
Controllo l’orologio: le 6.30. Avrei voglia di dormire, ma non ci riesco. Mi
trovo immerso in una coltre di silenzio innaturale interrotto dai cinguettii
dei passeri che salutano l’alba. Mi affaccio alla finestra e contemplo il sole
che si districa tra le spente nuvole marzoline. Una leggera patina di guazza
imperla le coperture dei tetti che rilucono rossastre ai primi bagliori. Mi
piace soggiornare dietro i vetri e immaginare che la natura assiste,
leopardianamente impassibile, alle tristi vicende umane. L’albicocco continua
il processo di rivestimento primaverile. I germogli promettono una buona
stagione di raccolta. Il melograno delinea foglioline arancioni che rivestono i
ramoscelli rinsecchiti dalle brume invernali. Dovrei rimproverarlo perché
contrariamente alle sue abitudini, quest’anno ha denotato un tratto del suo
carattere che non gli conoscevo: l’avarizia. Sono ghiotto di melagrane e
raccolgo con piacere i suoi frutti dolci e croccanti. Non ho potato l’olivo che
sovrasta la strada principale. La pianta sembra ringraziarmi con un’esplosione
di foglie novelle che attenuano la sensazione di angoscia che mi pervade. Per
un istante. Poi ascolto le drammatiche notizie e l’inquietudine
riprende inesorabile il suo corso. Figli, amici, conoscenti vicini solo
attraverso i pensieri. Le telefonate, più frequenti questi giorni, aiutano a
confortarci a vicenda. A volte basta solo ascoltare il tono rassicurante delle
loro voci per sentirsi meglio. Mi ripeto e ripeto costantemente che possiamo
uscirne. Mi auguro che tutto vada bene. Ce la possiamo fare a fronteggiare
questo momento difficile. Ce la faremo. Tutti insieme, Restiamo a casa
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