giovedì 19 marzo 2020

La vita e la morte durante la pandemia


E’ difficile abituarsi a u una nuova modalità di approccio alla vita e alla convivenza civile. Dettata, obbligata da immagini raccapriccianti. E’ vero che la morte ci ha sempre accompagnato ed è il destino di ogni essere umano. Mai, però, avremmo potuto immaginare i camion militari incolonnati e impegnati ad accompagnare le bare al cimitero. L’altro giorno un amico mi ha telefonato per comunicarmi la morte di suo padre. Mi ha raccomandato di non andare a trovarlo per le ferree disposizioni in atto. Non immaginavo, però, che i familiari più stretti fossero esclusi anche dalle tristi operazioni della tumulazione. Questa pratica avrebbe suscitato la disapprovazione anche del mondo greco e di quello romano. Gli onori dovuti ai morti costituivano, infatti, un dovere imprescindibile di pietà religiosa. I lutti si elaborano meno amaramente attraverso forme più partecipi di distacco. Qualche avvisaglia però c’era stata. Una decina di giorni a questa parte in prossimità della farmacia ho incontrato una cara conoscente. Eravamo abituati, in queste circostante, a scambiarci impressioni, sensazioni, informazioni. Il chiacchiericcio proprio delle persone accomunate da visioni, opinioni e sensibilità. Il nostro dialogo, per sua volontà è stato molto conciso e stringato. Limitato ai convenevoli tipici dei saluti. Piccolo particolare: ho notato che si manteneva a distanza di sicurezza. Un colloquio breve, ma surreale. Il focolaio in quel periodo era limitato al solo settentrione. La Sardegna appariva un’oasi felice. Mentre mi allontanavo ho compreso che la mia interlocutrice aveva già attivato le precauzioni proprie della paura del contagio. Che oggi dobbiamo fare nostre. Dotandoci degli strumenti di protezione individuale prima di tutto. Dobbiamo, in secondo luogo, rimanere segregati a casa. Solo così possiamo scongiurare l’escalation dei decessi. Ieri abbiamo totalizzato oltre 470 morti. Un record che neanche la Cina, culla della diffusione del virus, ha raggiunto. Evidentemente non abbiamo adottato le misure consigliate. Siamo refrattari per tradizione al rispetto delle regole e pecchiamo di leggerezza e di superficialità. Anche quando ci imbattiamo nei baratri delle tragedie. Crediamo o speriamo che noi possiamo uscirne indenni. “A chi la tocca la tocca” risponde nei Promessi Sposi un inebetito Tonio a Renzo che si avvicina per sincerarsi come sta. Oggi crediamo e confidiamo che tocchi sempre agli altri. Ma gli altri, soprattutto oggi, siamo tutti noi e possiamo venir fuori da questo abisso solo con il concorso di tutti. Una guerra si ripete nei notiziari. I conflitti, però, si vincono con il contributo dagli eserciti. Composti soprattutto dai soldati semplici; che, per conseguire la vittoria, devono stare in trincea. Fuor di metafora, appartati nelle proprie abitazioni. Felici di uscire quando questa immane tragedia sarà finita. In attesa stiamo a casa. Abbiamo sorpreso il mondo facendo leva sulle nostre capacità di lottare e di soffrire. Di vincere quando tutti ci davano per sconfitti. Siamo rinati più forti di prima quando abbiamo fatto squadra. Nello sport, nella vita, nell’arte, nell’economia, nella cultura e nella moda. Il mondo ha bisogno di noi. Della nostra fantasia. Della nostra creatività. Crediamoci, credetemi, restiamo a casa

martedì 17 marzo 2020

Restiamo a casa


Una sensazione strana. Caratterizzata da uno stato d’ansia che non conoscevo da tempo. Controllo l’orologio: le 6.30. Avrei voglia di dormire, ma non ci riesco. Mi trovo immerso in una coltre di silenzio innaturale interrotto dai cinguettii dei passeri che salutano l’alba. Mi affaccio alla finestra e contemplo il sole che si districa tra le spente nuvole marzoline. Una leggera patina di guazza imperla le coperture dei tetti che rilucono rossastre ai primi bagliori. Mi piace soggiornare dietro i vetri e immaginare che la natura assiste, leopardianamente impassibile, alle tristi vicende umane. L’albicocco continua il processo di rivestimento primaverile. I germogli promettono una buona stagione di raccolta. Il melograno delinea foglioline arancioni che rivestono i ramoscelli rinsecchiti dalle brume invernali. Dovrei rimproverarlo perché contrariamente alle sue abitudini, quest’anno ha denotato un tratto del suo carattere che non gli conoscevo: l’avarizia. Sono ghiotto di melagrane e raccolgo con piacere i suoi frutti dolci e croccanti. Non ho potato l’olivo che sovrasta la strada principale. La pianta sembra ringraziarmi con un’esplosione di foglie novelle che attenuano la sensazione di angoscia che mi pervade. Per un istante. Poi ascolto le drammatiche notizie e l’inquietudine riprende inesorabile il suo corso. Figli, amici, conoscenti vicini solo attraverso i pensieri. Le telefonate, più frequenti questi giorni, aiutano a confortarci a vicenda. A volte basta solo ascoltare il tono rassicurante delle loro voci per sentirsi meglio. Mi ripeto e ripeto costantemente che possiamo uscirne. Mi auguro che tutto vada bene. Ce la possiamo fare a fronteggiare questo momento difficile. Ce la faremo. Tutti insieme, Restiamo a casa