Una
sensazione strana. Caratterizzata da uno stato d’ansia che non conoscevo da tempo.
Controllo l’orologio: le 6.30. Avrei voglia di dormire, ma non ci riesco. Mi
trovo immerso in una coltre di silenzio innaturale interrotto dai cinguettii
dei passeri che salutano l’alba. Mi affaccio alla finestra e contemplo il sole
che si districa tra le spente nuvole marzoline. Una leggera patina di guazza
imperla le coperture dei tetti che rilucono rossastre ai primi bagliori. Mi
piace soggiornare dietro i vetri e immaginare che la natura assiste,
leopardianamente impassibile, alle tristi vicende umane. L’albicocco continua
il processo di rivestimento primaverile. I germogli promettono una buona
stagione di raccolta. Il melograno delinea foglioline arancioni che rivestono i
ramoscelli rinsecchiti dalle brume invernali. Dovrei rimproverarlo perché
contrariamente alle sue abitudini, quest’anno ha denotato un tratto del suo
carattere che non gli conoscevo: l’avarizia. Sono ghiotto di melagrane e
raccolgo con piacere i suoi frutti dolci e croccanti. Non ho potato l’olivo che
sovrasta la strada principale. La pianta sembra ringraziarmi con un’esplosione
di foglie novelle che attenuano la sensazione di angoscia che mi pervade. Per
un istante. Poi ascolto le drammatiche notizie e l’inquietudine
riprende inesorabile il suo corso. Figli, amici, conoscenti vicini solo
attraverso i pensieri. Le telefonate, più frequenti questi giorni, aiutano a
confortarci a vicenda. A volte basta solo ascoltare il tono rassicurante delle
loro voci per sentirsi meglio. Mi ripeto e ripeto costantemente che possiamo
uscirne. Mi auguro che tutto vada bene. Ce la possiamo fare a fronteggiare
questo momento difficile. Ce la faremo. Tutti insieme, Restiamo a casa
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