Non è tra le notizie che colpiscono l’opinione pubblica in
una calda e assonnata stagione estiva, ricca come al solito di vacuità
gossipare
che fanno la fortuna di periodici dai titoli strillati e strillanti.
Eppure
ferisce profondamente l’animo e la coscienza di tutti noi che
dimentichiamo, troppo
spesso, la fortuna che abbiamo avuto nel nascere nell’emisfero
settentrionale
del pianeta. Il titolo dell’articolo, lanciato dalle agenzie e ripreso
da tutti
i quotidiani, è scarno e impietoso “Bimba sbarca con orsacchiotto, la
mamma è
tra le vittime del naufragio”. La foto se vogliamo è ancora più
drammaticamente
cruda: una bambina di 4-5 anni in braccio a suo padre scruta, aggrappata
ad un
orsacchiotto di peluche, il mare che ha appena inghiottito la sua
mamma”.
Niente pianti, nessuna isteria di fronte ad una suprema ingiustizia che
solo la
crudeltà degli uomini è capace di servirti con tanta ingiustificabile
durezza. Il
gruppo di migranti proveniva da svariati paesi della fascia equatoriale:
Guinea, Ghana, Senegal, Sierra Leone, Nigeria, Eritrea per citarne
alcuni. La
povertà, le guerre, la fame, lo sfruttamento spingono tanti sfortunati
ad
abbandonare i propri affetti ed i propri miseri beni. Dopo una serie
incredibili
di vicissitudini che li portano ad attraversare quasi metà del
continente
africano finalmente i poveri derelitti raggiungono le coste libiche.
Negli ultimi sei
mesi sono deceduti, mentre cercavano di raggiungere i lidi italiani in
1900. Il
Mediterraneo in questa stagione ha dei colori stupendi che spaziano dal
celeste, al turchino, al verde, all’azzurro, al grigio chiaro. Una
meraviglia
per gli occhi di una piccola che sogna un futuro radioso promessole più
volte
dalle figure che più contano nella sua vita: babbo e mamma. Ma c’è anche
un
terzo amico che non si poteva lasciare al villaggio. Un orsacchiotto di
peluche
ricevuto in dono da papà Moustafà al compimento dei tre anni. Papà ha
compiuto
tanti sacrifici per questo regalo. E’ rientrato, per qualche mese, più
tardi
del solito dal lavoro ed ha economizzato anche sul cibo quotidiano.
Cristina,
il nome ipotetico di questa bimba, queste cose non le sa; sa solo che la
gioia
nel ricevere questo regalo è stata immensa. L’attribuzione del nome del
nuovo
amico è stata istantanea: Leo. Alle amiche, che le chiedevano perché
questo
nome, rispondeva Leo e basta. Forse perché Leo costituisce il diminutivo
di
leone l’animale, re di tutte le specie animali, che le viene additato
come
spauracchio per non allontanarsi troppo dal villaggio. La piccola ha
accolto con
qualche perplessità la proposta fattale dai genitori di andare incontro
ad un
mondo migliore. Riesce difficile per una bimba di 4 anni poter
immaginare una
vita più gratificante di quella vissuta. Alla sua età non si desiderano
grandi
cose e d’altro canto possiede tutto ciò di cui ha bisogno: l’amore dei
genitori
e dei propri cari, una fitta rete di affetti e di confidenze con le
amiche del
cuore, un mare e un sole tra i più belli del mondo, un tetto sulla testa
e un
amico fedelissimo che ascolta e capisce anche i pensieri più reconditi.
Tutte
queste perplessità ha cercato di esternarle ai propri genitori, ma
Cristina è
soprattutto una bambina abituata ad obbedire. Dopo lunghe settimane di
viaggio
e di privazioni, Cristina, con i suoi, ammira estasiata le bianchissime
spiagge
della Libia. Bisogna attendere il proprio turno tra giovani che urlano
comandi
e profferiscono insulti in lingue sconosciute. Finalmente giunge il
momento
della partenza: occorre salire su un gommone che potrebbe contenere al
massimo
30-40 persone. Li costringono a salire e a stringersi fino a raggiungere
il
numero di 180. Gli scafisti sono sgarbati e, mentre sale sulla barca con
babbo
e mamma, cercano di strapparle l’orsacchiotto, ma Cristina è
irremovibile: se
lo stringe al petto e fa capire che non sale senza il proprio amico Leo.
“Ma si, tienilo pure” le dicono. Finalmente la partenza e il viaggio su
un mare che
progressivamente si increspa. Mamma, seduta all’esterno del barcone,
cerca
terrorizzata di stringere a sé la propria figlia. Poi le onde appaiono
sempre
più ostili in un mare che diventa via via più minaccioso. All’improvviso
l’imbarcazione si solleva e nell’abbassarsi violentemente fa precipitare
nei
gorghi diversi occupanti. In un attimo i disperati scompaiono alla vista
di
tutti. Anche mamma è tra questi. Cristina intuisce che qualcosa di
spaventoso è
accaduto, ma, con la gioia e la speranza che accompagnano la sua tenera
esistenza, si rifugia dietro un gioco: mamma ha voluto fare un bagno e
raggiungere prima la meta tanto sospirata. All’arrivo a Palermo, però,
mamma
non c’è e non ci sarà più per Cristina, per Moustafà e per Leo che, con
il suo
sguardo fisso, ha compreso la gravità della disgrazia. Il cibo, l’acqua,
le
scarpette e i vestitini nuovi che le hanno donato non bastano ad
attenuare un
dolore profondo che affonda le sue radici nelle pieghe più nascoste di
un animo
che ha perso all’improvviso la sua ingenuità. Attorno la stagione estiva
siciliana è nel suo pieno e felice svolgimento. Cristina, aggrappata a
Leo, in
braccio a papà, vede tante bambine divertirsi con giocattoli
sconosciuti;
qualcuna strilla perché l’amichetta le ha sottratto una formina di
plastica.
Non sanno, non potrebbero capire che, accanto a loro, una loro coetanea
proveniente da molto lontano, riesce a non piangere nonostante la vita
le abbia
sottratto il giocattolo più bello del mondo.
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