domenica 19 luglio 2015

Madeleine di formaggio

La memoria umana è un grande contenitore che, giornalmente, riempiamo con i brandelli della nostra quotidianità. Non è infinita come non lo è la memoria del mio Portatile. Il mio veicolo di riflessioni possiede 250 giga di possibilità di immagazzinamento di dati. Lunedì scorso, ho scoperto, con malcelato timore, di aver occupato quasi tutta la memoria disponibile. Allarmato, dopo aver effettuato gli aggiornamenti richiesti, ho provveduto a travasare diversi file in una memoria dati esterna; in questo modo ho velocizzato le operazioni ed ho potuto salvare il post che leggete in questo momento. Tutti noi possediamo una memoria volontaria che, avviata dall’intelligenza e dalla volontà, consente di archiviare le vicende del passato. Annoveriamo, anche, una memoria involontaria che può restituirci, per motivi sconosciuti, i frammenti di un passato che credevamo perduto.
Marcel Proust narra nel primo libro del suo capolavoro “Alla ricerca del tempo perduto” che il sapore della madeleine, un biscotto che il protagonista bagna da adulto nel tè, gli fa riscoprire e ritrovare tutto il mondo della sua infanzia. Nei ricordi della mia fanciullezza tra i gusti, tra i sapori, tra i prodotti che occupano un posto privilegiato c’è sicuramente quello legato al latte e ai suoi derivati. Il latte, appena munto, bollito e immediatamente consumato, costituiva un accostamento gioioso alla giornata che stava per iniziare.  I derivati del latte erano altrettanto gustosi e saporiti: mia madre preparava da par suo la ricotta, morbida e invitante, che poteva essere consumata, a tutte le ore della giornata nei suoi diverse sfaccettature: naturale, con annesso miele o, più raramente, edulcorata con lo zucchero. Il nostro appetito di bambini, e poi di giovani, trovava la sua sublimazione nel consumo del formaggio: perette, perettoni, forme di pecorino, di piccole e medie dimensioni, venivano consumate con voracità dall’entusiasmo e dall’ardore della nostra gioventù.
Oggi si invitano ripetutamente i giovani a mangiare: per la nostra generazione, ogni genere di incoraggiamento era bandito, perché si consumava, senza alcuna forma di esortazione, tutto ciò che passava il convento familiare. Il formaggio che più solleticava il mio appetito era costituito dalle perette fresche, ma non disdegnavo il pecorino nelle sue diverse accezioni: fresco, semi stagionato o stagionato. Se, poi, qualche forma si deteriorava, apprezzavo il gusto del formaggio marcio spalmando la sua crema sul pane fino anch’esso di produzione locale o consentitemi fornale: una vera e propria leccornia. Quando mi capita di assaggiare dell’ottima ricotta, del superbo formaggio, il metro di paragone è sempre il solito:” Mi ricorda e in qualche caso si avvicina – sentenzio senza tema di smentita-  ai prodotti caseari che mamma portava a tavola”.
Non è mammismo, ma cruda realtà. Immaginate con quale stato d’animo abbia accolto la prospettiva di consentire la produzione del formaggio con il latte in polvere. La commissione europea ha invitato il nostro paese a cambiare la legge vigente nel nostro paese che obbliga i produttori di formaggi a garantire che la materia prima sia il latte fresco. Il formaggio italiano ha raggiunto nel mondo un credito inestimabile grazie alla bontà del suo patrimonio caseario frutto semplicemente del binomio latte-formaggio. L’Unione europea vorrebbe che facessimo un passo indietro per quanto concerne bontà e qualità di prodotti.
L’augurio e l’auspicio che rivolgo da questa tribuna è che i nostri rappresentanti istituzionali respingano “senza se e senza ma” questa prescrizione: dal canto mio e spero vostro, mi rifiuterò di consumare alimenti che, pur non nocivi alla salute, non rispondono ai requisiti vitali della naturalezza, dell’autenticità e della bontà.

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