Piazza Unità d’Italia di Trieste
prevale su Piazza del Campo di Siena nel concorso bandito dal Corriere della
sera per premiare le piazze più belle d’Italia. I lettori hanno cercato, con il
proprio voto di indicare il cuore cittadino più suggestivo di tutta la
penisola. I sentimenti provati e descritti sono stati i più vari e dimostrano
che il principale centro di aggregazione di una collettività occupa un posto
importante nell’animo di ciascuno. In età medioevale quasi tutte le piazze concentravano
al proprio interno i principali centri della vita religiosa (la chiesa) della
vita politica (palazzo comunale) e della vita economica (il mercato). Questa
tripartizione si è conservata immutata in tanti spazi delle diverse realtà urbane.
Istintivamente il mio pensiero è corso a Piazza del popolo, lo slargo centrale del
mio paese. Al suo interno occupano posti di rilievo la chiesa, la casa comunale
e un angolo, ancora oggi, dedicato al mercato settimanale. La mia abitazione
distava poco più di quaranta metri dall’ingresso del centro della nostra
comunità. Fin dal primo impatto, mi è sembrata bellissima e amplissima. Diversi
decenni a questa parte la superficie era sterrata. Questo consentiva a noi
bambini e ragazzi di inventare o di riproporre tutta una serie di passatempi
che su questo suolo trovavano la loro sublimazione. Brucio, uno due tre…stella,
tre passi da formica, tene tene (acchiappa acchiappa), garicci (biglie colorate
di vetro), morroccula (giochi con le trottole), cua cua (nascondino), partite
con il pallone: tutto costituiva materia di divertimento, di passione e di
agonismo. Ricordo partite di calcio nelle quale 20 calciatori da una parte
fronteggiavano 20 avversari: la sfera di gomma non la calciavi mai, ma,
partecipare ad un rito collettivo di quella portata, era assai
gratificante. Altri svaghi presupponevano
doti atletiche non comuni: mi riferisco al tre
tre e all’ allunamonta (non sono
certo della dizione esatta del termine). Il primo consisteva nel disporsi
allineati e chinati in tre o più ragazzi. Ogni giocatore abbracciava con le
mani i fianchi del compagno piegato anche lui, fino a formare una fila di
persone curve. Ciascun componente dell’altra squadra prendeva la rincorsa e
saltava sugli avversari cercando di avanzare sulla loro schiena quanto più
possibile, per far spazio agli altri compagni. Si perdeva quando non si riusciva
a rimanere aggrappati al dorso dei propri rivali. Il secondo
gioco consisteva nel restare fermi con le mani poggiate alle ginocchia e la
testa in giù, mentre i compagni ci scavalcavano a gambe divaricate non prima di
aver pronunciato ad ogni passaggio una formula particolare. Non si conosceva la
rete virtuale, ma il divertimento era assicurato. La piazza si animava, in
particolar modo, la domenica e durante i giorni della festa patronale. Si
viveva un’atmosfera diversa rispetto ad oggi. Questo spazio ha visto il
formarsi di amicizie e l’affiorare di simpatie, affetti e amori. Si passeggiava su e giù allineati tra amici, intersecandosi con gruppetti
di giovani e meno giovani; si scrutava, si salutava, si sorrideva, si arrossiva
se investiti da sguardi intensi e profondi, nascevano le prime simpatie, le
prime infatuazioni, le prime passioni giovanili che determinavano sofferenze
indicibili perché sistematicamente non ricambiate. Le passeggiate riprendevano
il loro corso nei tardi pomeriggi e s’infittivano nelle stagioni più propizie.
Nei dopocena estivi la nostra compagnia occupava preferibilmente la parte
terminale del muraglione alla fine della piazza. Discussioni, polemiche,
barzellette, pettegolezzi, risate e confidenze agli amici più cari. Tutto
seguiva una logica di crescita e di maturazione di giovani e giovanissimi vivificati
dall’incedere di soddisfazioni e di delusioni, di gioie e di amarezze. Questo
spazio costituiva il luogo d’incontro anche durante il brutto tempo in quanto
ci si rifugiava all’interno delle auto a commentare i fatti e le vicissitudini
della nostra comunità. Tanti decenni e diverse generazioni hanno contribuito a
mutare radicalmente un angolo caratteristico della nostra comunità. Oggi
ritrovo poco della piazza della mia gioventù: cambiata nell’aspetto, frequentata
saltuariamente da pensionati, abbandonata dai giovani e dai giovanissimi che si
rifugiano nelle piazze virtuali come facebook, twitter, whatsapp e le chat. Soprattutto
non ci sono più amici e amiche di un tempo assorbiti dalle incombenze della
quotidianità. E’ difficile riassaporare quel clima festoso e a tratti
malinconico proprio della verde età, la tenerezza dei sentimenti e l’ingenuità
degli atteggiamenti. Rammaricarsi o contrapporsi saprebbe di arretratezza e di chiusura:
nessuno, però, può proibirmi di rimpiangere, con la piazza di un tempo, un
frammento significativo della mia vita.
Nessun commento:
Posta un commento