I titoli di coda che
scorrono e un coacervo di sensazioni che ti avvolge. La storia che si dipana
suscitando interesse e coinvolgendo lo spettatore costretto ad immedesimarsi
nel tempo, nei luoghi nelle azioni dei protagonisti fino al triste finale. Nel giorno
della recente scomparsa dell’attore Omar Sharif le diverse reti televisive
hanno programmato alcuni dei suoi film più noti. La visione del dottor Zivago
ha suscitato in tutti particolari emozioni. La commozione che avevo provato
alla prima visione della pellicola, ha lasciato il campo a un pizzico di
malinconia: colpa dell’età o di una mentalità più smaliziata? E’ passata tanta
acqua sotto i ponti da quando i fratelli Lumiere proiettarono nel 1896 un
cortometraggio che, raffigurando il procedere di un treno, sconvolse gli
ingenui spettatori. Costituiva l’avvento di una scoperta che avrebbe
rivoluzionato usi e costumi di intere generazioni in tutto il mondo: il cinema.
Da piccolo l’appuntamento con il film domenicale costituiva una prassi
abituale. Le sessanta lire della paghetta festiva venivano investite quasi
integralmente per l’ingresso alla sala (50 lire) e, a scelta, l’acquisto di un
gelato o di un pacchetto di caramelle. Stagionalmente le residue 10 lire
costituivano il prezzo di un misurino di mirto che un signore vendeva di fronte
all’ingresso del cinema. A quei tempi, nel mio paese erano presenti due locali
cinematografici: uno parrocchiale e uno privato. La programmazione dei film del
primo era rigidamente controllata: western, commedie sentimentali con il taglio
dei casti baci tra i protagonisti, film comici. L’altra sala programmava anche
i film definiti proibiti perché i pudici baci li proiettavano tra i sorrisi
maliziosi dei presenti; a noi bambini e preadolescenti l’ingresso era
tassativamente vietato da severe disposizioni dei nostri genitori alle quali si
aggiungevano quelle di parenti, delle insegnanti del catechismo e talvolta di
qualche conoscente. Si attendeva l’arrivo
degli amici e si entrava in sala in gruppetto sistemandoci lungo la stessa fila
di sedute. Le pellicole, per lo più western, ci esaltavano e all’uscita ci
muovevamo come se avessimo la fondina appesa ai pantaloni. La visione di
tantissime storie ha concorso alla formazione di tanti giovani che si affacciavano
alla vita. Lentamente, ma progressivamente, l’avvento e la concorrenza della
televisione hanno concorso alla scomparsa delle sale. I film piaceva vederli
nell’intimità delle propria casa sul piccolo schermo. Si perdeva molto in
termine di partecipazione e di immedesimazione, ma non ci si allontanava dalle
mura domestiche. L’ultimo film che ho visto al cinema è stato “La vita è bella”.
L’attesa era grande; tutti me ne avevano decantato la straordinaria maestria di
Benigni nel doppio ruolo di regista e attore. Delicato, coinvolgente ed
emozionante: un capolavoro. Gli spettatori hanno assistito in religioso
silenzio sorridendo e divertendosi nella prima parte e commuovendosi all’amaro
finale. Tra le pellicole più belle che abbia visto. Rivedo volentieri la
programmazione dei classici di un tempo per molti dei quali vale la massima di Kubrick:
“Un buon film dovrebbe comprendersi anche senza audio”. Oggi la mia visione dei
film è limitata al piccolo schermo. Purtroppo la programmazione è svilita dalle
interruzioni pubblicitarie: troppe e troppo invadenti. Talvolta si
sovrappongono brevi notiziari preceduti e seguiti da nuovi spot. Ci si alza
dalla poltrona, ci si aggira per casa e, quando la narrazione riprende, si è
perso parte del coinvolgimento emotivo. La proiezione di tantissimi film nel
piccolo schermo ha fatto in modo che ci sia abituati anche alla visone di trame
banali e di proiezioni insignificanti che un tempo non avrebbero superato il
ciak iniziale. Raramente le storie sono coinvolgenti e i protagonisti ottimi
interpreti. Quando ci si imbatte in una trama avvincente i sentimenti più
nobili più reconditi dell’animo si infiammano. E’ una fortuna: come quella di
leggere un buon libro che ci riconcilia con la vita.
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