Non so per quale imperscrutabile motivo abbiano
affibbiato a Berchidda l’epiteto di Pompa. I nostri antenati si sarebbero
distinti per vanagloria, boria o esibizionismo. Caratteri che confliggono con
la solidarietà, l’altruismo e la carità. Eppure ho conosciuto alcune
consuetudini che smentiscono questa diceria. Avrò avuto cinque o sei anni.
Rimasi stupito e allo stesso tempo ammaliato da una scena che sembrava tratta
da un film western. In prossimità della caserma dei carabinieri vidi convergere
cavalli e cavalieri. In breve si radunarono almeno una cinquantina di volontari
armati di tutto punto. Era stato trafugato un gregge di pecore. Il proprietario
del bestiame aveva allertato le forze dell’ordine ed i vicini di pascolo. La
notizia era rimbalzata negli ovili ed, in breve tempo era stata organizzata la
caccia ai ladri di bestiame. Gli abigeatari che avevano osato violare il
territorio comunale dovevano essere catturati e puniti. La sera potemmo
assistere al rientro trionfale dei cow boy che avevano recuperato il gregge. I
malviventi erano stati costretti, sotto l’incalzare di volontari che
conoscevano perfettamente il territorio, a dileguarsi abbandonando il bottino.
Il nostro paese in seguito a questo ed ad altri episodi simili si meritò
l’ammirazione dei paesi vicini. Non si era mai registrato tanto unanimismo: la
nomea tenne alla larga i ladri per diversi decenni. Gli allevatori potevano far
rientro alle proprie abitazioni senza paure di sorta. A questo proposito un
amico mi ha raccontato l’episodio relativo ad un sequestro di persona che si
era verificato ad Arzachena. I sequestratori avevano programmato di trasferire
l’ostaggio attraverso le campagne del nostro territorio comunale. I volontari
berchiddesi pattugliarono immediatamente i passaggi obbligati per trasferire l’ostaggio
sugli altipiani di Alà, ma furono fatti desistere dai loro propositi dalle ferree
disposizioni delle forze dell’ordine. Si voleva evitare un conflitto a fuoco tra
malviventi e civili. In questo modo i sequestratori riuscirono a sgusciare tra
le maglie dei posti di blocco. La nostra comunità era famosa anche per la
solidarietà che riusciva ad esprimere in occasione degli incendi. La campagne,
a quei tempi, erano ampiamente presidiate, ma, talvolta, si verificavano
focolai dovuti all’autocombustione oppure al dolo. Ai rintocchi cadenzati delle
campane e successivamente alle sollecitazioni delle sirene, tutto il paese
accorreva per cercare di arginare le conseguenze del disastro ecologico. In
questo modo il territorio fu preservato dalla triste piaga delle devastazioni
estive. Un’altra tradizione che faceva leva sullo spirito comunitario e sulla
solidarietà era quella che, pur non scritta, portava gli allevatori a rifondere
il malcapitato dai danni derivati dalla perdita del bestiame. Tradizione,
peraltro in voga in buona parte della Sardegna, che è stata riportata anche da
Alberto Lamarmora nel suo primo libro del Viaggio in Sardegna. Ciascuno si
faceva carico di riconsegnare al malcapitato un capo e in questo modo il gregge
o la mandria venivano ricostituite senza dover ripartire da zero. Unione,
accordo, sostegno reciproco sono stati i pilastri che hanno determinato la
nascita di alcune importanti cooperative. Non trascurerei neppure l’unicità
della tradizione ancora in voga del matrimonio che definiamo alla berchiddese e
che suscita la sorpresa e l’ammirazione anche negli altri centri dell’isola. Si
tratta di organizzare il matrimonio senza diramare alcun invito in paese. Chi
ritiene di dover partecipare lo fa e contribuisce in questo modo alle fortune
economiche dei novelli sposi. Alcuni matrimoni hanno visto la partecipazione anche
di millecinquecento persone. Le offerte costituiscono una sorta di prestito
utilissimo nelle fasi iniziali della vita coniugale; nel tempo una parte di
quanto ricevuto viene restituito alle altre giovani coppie che si apprestano a
loro volta a iniziare la vita in comune. Alcune di queste consuetudini, sotto
l’incalzare del cosiddetto progresso, si sono attenuate ed, in qualche modo,
appaiono antiquate. Eppure voglio illudermi che permangano e riprendano l’attualità
e il vigore di un tempo. Mi piace riassaporare l’orgoglio, per quale accetto di
buon grado l’aggettivazione di pomposo, di far parte di una comunità che si è
distinta nel tempo per senso civico, altruismo e spessore culturale.
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