domenica 12 giugno 2016

Nulla osta alla conquista del sapere






“Senza il nullaosta non puoi frequentare”. Mi annunciarono. A cinque anni non sapevo leggere, né scrivere, ma inconsciamente venni a contatto con un termine di cui ignoravo il significato: nullaosta. Questa attestazione, che doveva essere rilasciata dalla direzione didattica di Oschiri, era necessaria per consentirmi di anticipare di un anno la frequenza della scuola elementare. Accorgimento scelto per fugare l’eventualità che nell’anno successivo iniziassi la carriera scolastica sotto il magistero di mia zia che insegnava nella scuola elementare. Si voleva scongiurare un conflitto d’interessi a carattere familiare. Giocava a favore dell’accoglimento della richiesta la contemporanea frequenza della prima classe del mio fratello maggiore. Grembiule, fiocchetto e cartella rimasero malinconicamente riposti in un angolo della mia cameretta in attesa della sospirata autorizzazione. I primi cinque giorni di ottobre del 1954 trascorsero nell’attesa di un positivo riscontro: aspettavo ansiosamente il rientro a casa di mio fratello e gli chiedevo come procedevano le attività. L’agitazione si acutizzava con il trascorrere del tempo. Mi sembrava di morire. Come avrei potuto colmare il divario dovuto alla perdita di tutti quei giorni di lezione? Finalmente si materializzò il fatidico nullaosta: mi fu comunicato il sesto giorno di ottobre. Indossai inquieto la divisa consistente a quei tempi in un grembiulino nero corredato da un colletto bianco e da uno spropositato fiocco rosso. Esaminai con cura, in un secondo momento, lo scarno materiale didattico riposto nella cartella di cartapesta: una matita, una penna con il pennino amovibile da intingere nel calamaio, un quaderno a quadretti, uno a righe, una gomma e un foglio di carta assorbente. A metà mattinata mi recai a scuola accompagnato da mia madre. Memorizzai il percorso per conquistare la piena autonomia. Nessuno ragazzo si sognava di farsi accompagnare se non per eccezionali motivi di carattere disciplinare o sanitario. Non so per quale ragione non avessi frequentato la scuola dell’infanzia e, pertanto, ero completamente ignaro del clima scolastico. Lo shock fu tremendo. Ricordo il terrore che provai nel momento in cui si aprì la porta della classe: 27 alunni (le classi miste erano bandite) mi guardarono sorpresi. Una straordinaria umanità che non era accomunata neppure dall’anno di nascita: figuravano ripetenti di uno, due e tre anni. Questi ultimi apparivano veri e propri colossi nell’immaginazione dell’unico bambino anticipatario. Il secondo momento di panico fu dovuto alla scoperta dell’attività che svolgevano. La maestra, signorina Luisina, aveva tracciato alla lavagna delle aste oblique da sinistra verso destra e i miei colleghi di apprendimento le riproducevano non senza fatica sui propri quaderni. Sarei riuscito a fare altrettanto? Fui accompagnato al banco accanto a mio fratello: fu l’unico momento di conforto in una mattinata difficile e tormentata. L’approccio al mondo della conoscenza non poteva essere più drammatico. L’orgoglio, la volontà e la passione avrebbero avuto la meglio sulla complessità e sulla problematicità del mondo del sapere?

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