martedì 26 aprile 2016

Segno dei tempi che cambiano



Nostalgia mista a malinconia. Sensazioni che derivano dalla certezza che alcune professioni, che hanno accompagnato la nostra giovinezza, sono scomparse incalzate dalla modernità. Un breve servizio televisivo di cronaca regionale descriveva, qualche giorno fa, la progressiva scomparsa dei calzolai. A La Maddalena, ad esempio, sopravvive un pensionato ultrasettantenne che continua a risuolare scarpe per pura passione a causa dei modesti introiti. Eppure questo mestiere ha conosciuto momenti di gloria. Nella nostra comunità hanno convissuto negli anni cinquanta-sessanta decine di calzolai che riuscivano a vivere dignitosamente. Mio padre, prima di dedicarsi all'attività agricola, era uno di questi. Mi raccontava di aver appreso i primi rudimenti di questa nobile arte presso la calzoleria di Cirore Casu. Collega di tirocinio il carissimo amico Giovanni Casula che ha continuato a praticare a lungo questa attività. Lo spazio di lavoro era angusto. Un tavolino accoglieva al proprio interno una serie di scomparti dove riporre chiodi, semenze e attrezzistica varia: incudine metallica a forma di piede ricurvo utilizzata per inchiodare le scarpe, tenaglie, pietra levigatrice, trincetto, cucitrice, lesina, martello, colla, cavabullette, calzatoio, raspa, setole, forme dei piedi, tiraforme (ferro ad uncino) e manale (mezzo guanto) erano alcuni degli oggetti di uso quotidiano. L’unico sopravvissuto tra questi è il martello che si distingue da tutti i suoi simili per la battuta larga e arrotondata e l’estremità particolare a penna liscia per ribattere le punte dei chiodi. Nonostante fossi molto piccolo quando mio padre smise di esercitare, ricordo lucidamente il penetrante odore della pece utilizzata per impeciare e per impermeabilizzare lo spago, in modo da renderlo più resistente e aumentare la durata nelle cuciture a mano. La fase più delicata, una volta prese le misure e impostata la forma era la cucitura incrociata: venivano unite contemporaneamente e saldamente la suola terminale, il plantare e la tomaia che diventavano un corpo unico. I singoli punti di cucitura venivano stretti energicamente dalle sue mani vigorose protette dal manale per evitare le incisioni derivate dallo spago penetrante. Questa protezione scongiurava anche ferite dovute all’uso della lesina. L’attività era varia: piccole riparazioni che interessavano stringhe rotte di sandali o di zainetti di cuoio, risuolature di tacchi e di suole e, infine, realizzazione completa degli scarponi chiodati (bottes bullittados). Spesse volte doveva inchiodare i salvatacchi a forma di mezze lune metalliche e le salvapunte di forma triangolare, che evitavano il rapido consumo di tacchi e punte fondamentali parti della scarpa. Gli scarponi chiodati erano i manufatti più impegnativi perché, visto il costo, dovevano durare per anni. Sferragliavano sul selciato avvertendo i presenti del sopraggiungere del possessore della meraviglia. Ricordo la soddisfazione di mio padre al termine della sua opera: rimirava lo scarpone, lo accarezzava, procedeva con maestria alle lucidature finali e lo poggiava delicatamente accanto al compagno in attesa di osservare lo sguardo sorpreso del cliente alla vista del capolavoro. Non tutti erano solleciti con i pagamenti e qualche volta si barattava con altri prodotti o si concordavano pagamenti rateizzati. I tempi erano difficili, ma le persone erano fondamentalmente oneste e corrette.  Ricordo che la scarpa era importantissima e, per salvaguardarla, molti bambini trascorrevano il periodo estivo camminando scalzi. Spesso, quando la scarpa era stretta e non poteva essere trasmessa al fratello più piccolo, si procedeva con il taglio della punta per un ulteriore utilizzo!  Tra i calzolai più longevi ricordo Andrea Meloni, Giovannino Meloni, Barore Crasta, Paolo Manchinu, Emanuelle Sanna, Gigi Demuru, e, in seguito, i compianti Mario Demuru e Ignazio Demartis; recentemente ha abbondonato l’attività Anselmo Pudda. Tra i giovanissimi Tore Mu svolge la propria attività a Sassari. Oggi non è rimasto nessuno a coltivare questa nobile arte. Segno dei tempi che cambiano.  















3 commenti:

  1. Già, segno dei tempi. Non andiamo più dal calzolaio a rifarci "sos pizos de sos taccos" :-) Avevamo il calzolaio di fiducia, faceva tutti gli scarponi da campagna per mio padre e miei fratelli, conosciuto da bambina, sempre lo stesso, un punto di riferimento.
    Un saluto,
    complimenti per il blog, la leggerò :-)
    g

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  2. Mi lusinga e mi gratifica che abbia trovato motivi di riflessione in questa proiezione di un passato irripetibile, ma caro per chi lo ha vissuto con tanta serenità. Grazie e buona lettura

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