Ricordo ancora l'emozione, la gioia e l’orgoglio che maturò in ciascuno nel salutare
una nuova era: l’introduzione della moneta unica in Europa. Un sistema finanziario cercava di avvicinare
i popoli superando le vetuste frontiere e le antiquate barriere doganali. Gli
osservatori più attenti non potevano non cogliere che i diversi tagli delle
banconote in euro erano accomunati dalla figura stilizzata di un ponte. Il ponte riaffermava il principio ed
allo stesso tempo il valore dell’appianamento delle incomprensioni, delle
disuguaglianze e delle barbarie. La costruzione di un ponte confligge con
la realizzazione di un muro. Il Vallo di Adriano, La Muraglia cinese, il muro
di Berlino, il muro tra Israele e Palestina, la ripresa della costruzione del
muro tra Stati Uniti e Messico, i nuovi reticolati in Europa rappresentano vere e proprie architetture di egoismo, di prevaricazione e di sopruso. Nel 1989, quando cadde il
muro di Berlino, sussistevano solo undici muri. Oggi ne contiamo settanta. La costruzione dei muri è una tendenza mondiale consolidata che mira a
respingere la povertà. Ciò che accomuna queste moderne barriere è combattere
l’avanzare dei migranti, dei derelitti, degli sfortunati. Eppure niente è di
più vero di quanto ha affermato di recente Joan Baez durante il ricevimento di
un prestigioso premio per la sua carriera di artista: “Costruiamo insieme un ponte,
un grandioso e bellissimo ponte per accogliere ancora una volta gli esausti e i
poveri. E pagheremo questo ponte con il nostro impegno. Noi, il popolo, siamo
gli unici a poter creare il cambiamento”. La civiltà e il progresso dei popoli prosperano
attraverso l’abbattimento dei muri e il felice incontro di culture diverse.
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