Oltre seicento
docenti universitari, hanno lanciato un accorato allarme a governo, parlamento
e pubblica opinione “Molti studenti – denunciano in un documento - scrivono
male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente”. Promotore dell’appello
il Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità. Secondo i
docenti universitari, il sistema scolastico non reagisce in modo appropriato,
"anche perché il tema della correttezza ortografica e grammaticale è stato
a lungo svalutato sul piano didattico". Occorre, pertanto, farsi carico
del progressivo consolidamento delle competenze linguistiche degli allievi
mettendo al centro dell’attenzione le abilità linguistico-comunicative (ascoltare, parlare, leggere, scrivere).
In questo modo i professori universitari sono rimasti fedeli alla filosofia che
da sempre contraddistingue i vari ordini scolastici: rimpallare la
responsabilità delle principali carenze dei propri alunni sul segmento
scolastico precedente. L’università rimprovera la scuola secondaria che a sua
volta ammonisce la scuola media la quale richiama le responsabilità didattiche
della scuola elementare. Quest’ultima, per chiudere il cerchio, ricorda che le cause
dei tracolli linguistici si annidano nella formazione universitaria dei docenti
ed in questo modo si ritorna al punto di partenza. Emerge dalla lettera-appello
un discredito nei confronti dei docenti della scuola primaria che si evidenzia
attraverso una verifica delle competenze degli alunni in uscita da questo segmento
scolastico. I motivi delle disfunzioni della scuola nel nostro paese, in
realtà, sono molteplici. Tagli progressivi e costanti che hanno interessato di
volta in volta organici, trasferimenti di risorse, limitazione libertà di
insegnamento, diminuzione del tempo scuola, precariato strutturale del
personale, edilizia scolastica fatiscente, classi numerose. La famigerata
riforma Gelmini del 2008 promosse in un triennio tagli di personale pari a
87.400 docenti e 44.500 Ata, con una riduzione complessiva di risorse per la
scuola di quasi 8 miliardi di euro. Ricordo bene quel delicato passaggio
politico e rammento soprattutto la leggerezza di forze politiche e sociali che
minimizzarono quei provvedimenti punitivi. Si arrivò ad auspicare la promozione
ed il rafforzamento della conoscenza delle tre i (Inglese, Internet ed Impresa)
a spese dell’insegnamento della quarta i (Italiano). Nessuna voce si è levata negli
anni per protestare contro l’abbandono e la dispersione scolastica crescenti
nelle aree più povere del paese o contro lo scadimento qualitativo e
quantitativo del servizio pubblico. Questi sono i problemi che dovrebbero
essere affrontati e risolti. Quanto ai lamenti proveniente dalle aule
universitarie, occorre ricordare che nelle Indicazioni Nazionali per il
curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione
(settembre 2012) si auspica l’acquisizione degli strumenti necessari ad una "alfabetizzazione funzionale": “gli allievi- recita il documento- devono
ampliare il patrimonio orale e devono imparare a leggere e a scrivere
correttamente e con crescente arricchimento di lessico. Questo significa, da
una parte, padroneggiare le tecniche di lettura e scrittura, dall’altra
imparare a comprendere e a produrre significati attraverso la lingua scritta.
Lo sviluppo della strumentazione per la lettura e la scrittura e degli aspetti
legati al significato procede in parallelo e deve continuare per tutto il primo
ciclo di istruzione, ovviamente non esaurendosi in questo”. I traguardi da raggiungere in terza ed in quinta elementare
devono essere conseguiti attraverso l’azione concertata dei docenti delle
diverse discipline. Le Indicazioni
esplicitano i livelli di competenza da raggiungere alla fine della terza media,
che costituiscono dei traguardi obbligatori per tutti i ragazzi italiani. Elencano,
inoltre, gli obiettivi di apprendimento necessari per l’impostazione di un
curricolo verticale di italiano e offrono esempi di metodi, strategie, tecniche
e attività da svolgere. La scuola fa quello che può, ma non si può dimenticare che il nostro
paese è in linea con l’Unione Europea per le risorse destinate alla difesa, alla
sanità ed alla protezione sociale. Siamo, invece, fanalino di coda in
Europa per quanto concerne gli investimenti destinati alla
cultura (1,1% a fronte della media del 2,2% ) e al penultimo posto, per
percentuale di spesa destinata all’istruzione (l'8,5% a fronte del 10,9% ). Il
prof. Tullio De Mauro, recentemente scomparso, sosteneva che è quasi
impossibile insegnare in un paese con il 70% e passa di analfabeti funzionali,
che non sa che farsene di gente che sa leggere e scrivere correttamente. Rischiamo
di perdere progressivamente ciò che abbiamo appreso se non attuiamo dei
correttivi alla nostra azione didattica educativa. Questi contemplano un’azione
congiunta di formazione di adulti e docenti: solo un’adeguata rivalutazione
della mentalità delle famiglie sul ruolo fondante di istruzione e cultura può
invertire questo processo; nella nostra società, infatti, aumenta in maniera
esponenziale la disistima per la cultura e per l’istruzione. Abbiamo
dimenticato che la lingua costituisce il primo strumento di comunicazione e di
accesso ai saperi. Il disimpegno
nello studio cresce attraverso la convinzione che la cultura serve a poco.
Anche i docenti devono impegnarsi per contrastare queste deprecabili
convinzioni. Sorprendentemente l’appello ha avuto una straordinaria eco nei
mezzi di comunicazione ed ha innestato un costruttivo dibattito tra addetti ai
lavori e opinione pubblica; partiamo da questo ampio scambio di vedute per realizzare
una maggiore e più stretta collaborazione tra insegnanti dei diversi ordini di
scuola. Ancora una volta spetta alla professionalità posseduta dai docenti perseguire
e costruire un percorso linguistico unitario e coerente con gli indirizzi dei
segmenti scolastici precedenti; solo in questo modo potranno essere ampliate e
valorizzate le competenze linguistiche necessarie e indispensabili ad una
partecipazione matura e consapevole dei cittadini alla vita sociale.
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