lunedì 22 agosto 2016

La riscoperta del passato



Gli insegnamenti dei classici sono illuminanti. La lettura dei testi aiuta a comprendere tante cose: prima di tutto noi stessi. Ho ripreso in questi giorni la lettura delle Bucoliche di Virgilio. La passione, la conoscenza e la sua consapevolezza dei temi pastorali e bucolici non hanno pari. La sua grandezza, d’altro canto, è attestata dal più grande uomo di cultura che la nostra letteratura annoveri. Il sommo poeta Dante Alighieri, nel riconsiderare le variegate sfaccettature dell’animo umano, volle essere accompagnato nelle prime due cantiche della Divina Commedia proprio da Virgilio considerato, non a torto, l’uomo più sapiente dell’antichità. La maestria, la raffinatezza stilistica e contenutistica del testo latino delineano magistralmente la vita dei campi intesa come valore culturale e aggiungerei vitale.

Da qualche tempo a questa parte molti riscoprono la bellezza e la salubrità della vita trascorsa a contatto con la natura. Eppure da piccolo soffrivo tutte le volte che si profilava la possibilità di un trasferimento della famiglia in campagna. All’indomani della pubblicazione degli esiti scolastici, la famiglia traslocava armi e bagagli nella casetta in campagna. Questo cambiamento di vita era in qualche modo obbligato. Mio padre, in questo modo, evitava un viaggio quotidiano per accudire alle incombenze rurali. Eppure vivere lontano dagli amici costituiva una sofferenza per me, per mio fratello e per mia sorella. Si rientrava in paese raramente; questo fatto costituiva motivo di malumore per preadolescenti che definivano faticosamente la propria personalità. Eravamo autosufficienti sotto il profilo alimentare: pane cotto nel forno a legna, fagioli, pomodori, verdure ed ortaggi, patate, angurie e meloni, uova, latte e carni varie non necessitavano di particolari certificazioni che ne attestassero la genuinità. Saggezza, maestria ed accortezza costituivano premesse imprescindibili per il loro consumo. Eppure solo oggi riconosco la bellezza di quei tempi. La sveglia era affidata al cinguettio degli uccelli o al canto del gallo. Il tintinnio delle campanelle legate al collo delle pecore, impegnate fin dalle prime luci dell’alba nella ricerca degli ultimi scampoli di erba, reiterava la sollecitazione al risveglio. Il latrato dei cani e il miagolio dei gatti precedevano il frinio delle cicale che rimbalzava da un albero all’altro con ossessiva ripetitività. Le nostre mansioni erano limitate a impegni saltuari e circoscritti. Dovevamo attingere l’acqua dalla sorgente distante dalla casa 150 metri, riempire i recipienti capienti 10-15 litri e versare il prezioso contenuto in un apposito contenitore che costituiva la riserva idrica per tutte le incombenze domestiche. Aiutavamo i nostri genitori a zappettare le erbacce che crescevano nell’orto oppure eravamo impegnati a raccogliere i prodotti dell’orto. L’illuminazione dell’abitazione, in mancanza di energia elettrica, era assicurata dalle candele di cera. Sconosciuti telefonini, televisori, internet: vita improponibile ed impossibile oggi a giovani e giovanissimi. Quel tipo di vita ti temprava all’essenzialità e alla sobrietà. Niente andava sprecato. Ricordo la gioia provata nel raccogliere le uova nel pollaio, nel gustare il pane appena sfornato o nell’assaporare un piatto di patate e di fagioli appena raccolti. La delizia derivata dalla degustazione delle seadas, la cui misura coincideva con le dimensioni dei piatti, ha rappresentato uno stato di appagamento gustativo mai più provato. Oggi riscopro la bellezza della vita in campagna. Ho virgilianamente idealizzato quel “mondo perduto” che, come il grande cantore della grandezza di Roma, riconosco ideale ed idilliaco.

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