Ite mi naro? (Come mi
chiamo?) La lingua sarda è sempre stata il veicolo comunicativo utilizzato nelle
nostre discussioni. Nessuna risposta.
Solo un sorriso così armonioso e felice che ti costringe a pentirti di averla
formulata. Quello sguardo radioso racchiudeva, con la semplicità e la purezza
che contraddistinguevano il carattere di mio padre, una risposta articolata che
solo osservandolo con attenzione potevi capire. D’altro canto nell’amore che
nutriamo nei confronti delle persone è insita la capacità di saper leggere attraverso
i loro occhi. “So benissimo come ti chiami.” sembrava rispondere con un tenue
cenno di disapprovazione” Giuseppe è il nome che ho scelto per te per la stima
che ho sempre avuto nei confronti di mia sorella Giuseppina. E per quanto non
riesca a pronunciarlo, a causa di un terribile male, sappi che non dimenticherò
mai i nomi dei miei figli e di tutte le persone care che hanno accompagnato la
mia esistenza”. Questo episodio mi ha fatto riflettere su un pregiudizio,
diffuso tra tante persone che hanno convissuto per brevi o lunghi periodi della
propria vita con questa triste esperienza o fra quanti hanno studiato a fondo
questa terribile realtà. Secondo insigni ricercatori e illustri scienziati le numerosissime
persone affette da questa patologia, sempre più diffusa, perderebbero ogni
forma di consapevolezza e, pertanto, non proverebbero emozioni di alcun tipo.
So per certo che non è così. Lo percepivo scrutando attentamente quel viso che
irradiava una dolcezza rassicurante che la cimosa del male non era riuscita a cancellare.
Quell’espressione si illuminava di felicità tutte le volte che una persone cara
gli rivolgeva la parola. Anche mia nipotina Francesca, che si appresta a
compiere cinque mesi, non saprebbe ripetere il mio nome se le formulassi la
stessa domanda. Eppure il sorriso radioso e felice che mi regala, ogni volta
che le rivolgo la parola, conferma che esiste una stupenda “corrispondenza di
amorosi sensi” che non necessita di spiegazioni, attestazioni o perifrasi. Lo
scintillio di suoi occhi, infatti, avvolge tutte le persone care che la circondano
di un amore immenso, rasserenando il suo universo. L’amore e l’affetto per gli esseri viventi sono
sentimenti che non hanno bisogno di essere codificati per manifestarsi nella
loro pienezza. Non so se questa patologia è genetica, ma se ne rimanessi
affetto avverto i miei congiunti, gli amici e le persone care che potrei non
ricordare i loro nomi e potrei avvertire una diffusa difficoltà a pronunciarli correttamente; nutro, però, un'assoluta consapevolezza che nei meandri più profondi del mio animo si è
sedimentata una sconfinata concrezione di amore nei loro confronti che nessuna
infermità potrà mai rimuovere.
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