Il carnevale che segue il Natale e anticipa la festa
del papà. Registriamo una serie continua di celebrazioni imposte da un
consumismo sempre più aggressivo e dominante. Un tempo il carnevale
presupponeva un pizzico di inventiva da parte del creativo di casa, impersonato, a
seconda del talento, dalla mamma, dal papà o da un parente precettato per questa
nobile incombenza. La delicatezza del suo compito consisteva nel truccare le
mascherine o nel realizzare una serie di
costumi con scampoli di stoffe pescate nella cassapanca di casa. E la festa
poteva cominciare tra il sorriso e il divertimento di tutti. Oggi mi ha colpito
una frase di una conoscente:” Non mando mio figlio alla scuola dell’infanzia
perché non posso permettermi il costume”. A questo punto la festa dei sorrisi e
del divertimento perde il suo significato e diventa la sagra della rinuncia che
precorre l‘imminente quaresima. Non possiamo e non vogliamo fermare questo
surreale turbinio di ricorrenze che si ripete ossessivamente durante l’anno ed
implica un dispendio crescente di risorse morali e materiali. Assistiamo, al
contrario, ad un incremento costante di nuove e talvolta frivole celebrazioni
imposte con l’unico scopo di indurci ad osservare rituali e cerimoniali
ripetitivi e meccanici. Guai a distinguersi. Un’eventuale assenza scandalizzerebbe
la cerchia di conoscenti. “Mancavi solo tu” ci direbbero con una sorta di
compatimento misto a commiserazione. Gli adulti, in questo difficile momento,
possono rinunciare al necessario, ma guai a privare i propri figli del clima di
fugacità che queste feste di volta in volta gli riservano. Ed allora avanti
tutta. Lasciamoci avvolgere da questa giostra di festosità ingannevole ed
illusoria. I festeggiamenti fondati sull’interesse e sul profitto possono
determinare un effimero senso di ebbrezza, ma escludono categoricamente il
senso profondo delle emozioni scaturite dalla semplicità e dalla genuinità dei
sentimenti.
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